Saper vedere
Le tracce nascoste nelle opere d'arte
Lezione della Professoressa Marilena Scavizzi
09 Febbraio 2022
“Saper vedere. Le tracce nascoste nelle opere d’arte”
Questo il titolo della lezione tenuta mercoledì 9 Febbraio 2022 dalla Prof.ssa Marilena Scavizzi per i Soci dell’Università della Terza Età Città di Gubbio.
La professoressa Scavizzi ha sapientemente guidato i presenti in un breve quanto intenso tour alla scoperta di alcune celebri opere per poterne cogliere ed apprezzare i significati nascosti.
Non solo “vedere” le opere d’arte, è necessario “guardare, saper vedere” per scendere nel loro profondo.
Ecco allora “L’ Annunciata” di Antonello Da Messina (1476 – Palazzo Abatellis, Palermo). Su di uno sfondo nero profondo, avvolta da un velo blu che le copre il capo e le spalle, la Vergine è ritratta mentre con la mano sinistra chiude il velo sul petto e porta la mano destra in avanti, quasi a voler mettere una distanza tra lei e la misteriosa presenza che si intuisce esserle davanti.
Maria è sorpresa dalla comparsa dell’Angelo, che è presente ma non è riprodotto nel dipinto. Il suo sguardo stupito ma serio dimostra che si trova di fronte al Messaggero Divino che annuncia la sua maternità e si intuisce come giunto al cospetto della Vergine anche per il sollevarsi delle pagine del libro posto sul leggio.
Di grande impatto psicologico, i particolari del ritratto, se ben osservati, svelano i sentimenti e lo stato d’animo di Maria nella sua intensa intimità. finisci di leggere
Ecco ancora “La Vocazione di San Matteo” di Caravaggio (1599/1610 – Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma).
Intorno ad un piccolo tavolo quadrato vi sono cinque personaggi, sul tavolo monete sparse. Due personaggi sulla destra, l’Apostolo Pietro di spalle e Gesù, identificato da una sottile aureola sul capo, con la mano tesa nel chiamare a sé il futuro apostolo Matteo. E’ il momento, narrato nei Vangeli, nel quale Gesù incontra l’esattore delle tasse impegnato nel suo lavoro e lo invita a seguirlo in un mondo permeato da una spiritualità ben lontana da quella materiale a cui è abituato.
E l’uomo Matteo, con la folta barba, incredulo e confuso, è colto nel momento in cui deve decidere, deve fare la scelta della sua vita. Lo indicano le sue mani divise tra il denaro e il cuore. La destra è appoggiata sulle monete e la sinistra indica se stesso, la sua intimità, il suo sentire. Quella mano sembra esprimere una domanda . “IO? Stai indicando proprio me?”
La finestra chiusa, opaca, è illuminata da una luce radente che proviene dall’ alto a destra, la luce della Grazia che viene a scuotere le coscienze in questo luogo buio e poco ospitale.
E sempre di Caravaggio, “Maddalena penitente” (1594/95 – Galleria Doria Pamphili, Roma).
Tradizionalmente rappresentata ai piedi della croce, qui la Santa appare come una piacente giovane popolana, accasciata sulla sedia, con lo sguardo rivolto in basso, le mani sul grembo. I vestiti stranamente fastosi, in netto contrasto con l’umile ambiente che la circonda, e il drappo giallo che le cinge i fianchi dimostrano che si tratta di una prostituta.
Sulla sinistra della tela una boccetta di vetro con del liquido, forse un unguento, e una collana, strappata, gli orecchini abbandonati. Questi oggetti simboleggiano il rifiuto del peccato, dell’avidità e della vanità da parte di Maria Maddalena o sono testimonianza di una violenza subita, come il vestito fatto cadere fino alle spalle?
Doppia lettura possibile.
Chi è la donna penitente? Davvero è la Maddalena pentita, mentre sta facendo penitenza, come suggerisce il titolo, o è una prostituta che piange perché è stata malmenata, come sembrano suggerire i particolari di una violenza subita ?
Di certo sappiamo che la donna che posò come modella per Caravaggio in questo quadro fu Anna Bianchini, Annuccia, una prostituta che il pittore frequentò per un lungo periodo. E’ la fine del Cinquecento, piena Controriforma, la prostituzione a Roma è ormai una piaga, le donne che esercitano questo lavoro sono troppe, circa settemila, relegate nei pressi di Campo Marzio. Spesso sono perseguitate e punite, fino al carcere.
Con tali premesse, il significato profondo del dipinto può essere altro da quello immediatamente percepito o pensato.
Maddalena o Anna? Eppure, nel buio di questa opprimente atmosfera, sembra sia giunto un raggio di sole, ad illuminare la stanza e a spazzare via le tenebre del peccato che circondano, chiunque sia veramente, la donna del quadro.
E ancora: “Las Meninas” di Diego Velàzquez (1656 – El Prado, Madrid).
Scena ambientata in una stanza poco illuminata, molti personaggi, nessuno sembra guardare l’osservatore: ma dove e chi guardano?
L’infanta Margherita. Dai lunghi capelli biondi, è in piedi, con abito ampio, di tessuto chiaro, damascato, prezioso con i suoi ricami a colori. Domina la scena. Guarda in avanti, mentre porge la mano alla damigella che si inchina alla sua destra e sembra sussurrarle qualcosa.
La damigella a sinistra di Margherita ha le mani abbandonate sull’ampia gonna e guarda frontalmente. Più a destra nel dipinto, una nana vestita di scuro, con lunghi capelli sciolti e un grande mastino accucciato ai piedi, osserva in direzione centrale. In secondo piano si intravvedono nella penombra due donne che conversano e sul fondo, in controluce sull’ingresso, appare la figura di un uomo fermo sui gradini, incerto sul da farsi.
A sinistra, in parte coperto da una grande tela, il pittore con tavolozza e pennello, ha lo sguardo rivolto in avanti: cosa sta dipingendo? L’ Infanta? Allora dovrebbe stare di fronte a lei.
Ma è lo specchio ad essere più enigmatico: in esso due figure, un uomo e una donna, il re Filippo IV di Spagna e la regina Marianna d’Austria, genitori di Margherita. Cosa stanno facendo? Potrebbero essere sopraggiunti al momento o potrebbero osservare, quasi di nascosto, il pittore di corte al lavoro.
Molte dunque, a ben guardare, le possibili interpretazioni.
Infine:
il “Cane interrato nella rena” di Francisco Goya (1820/21 – dipinto ad olio su muro poi, staccato, su tela – Prado, Madrid) dove il cane è intrappolato in un fiume di fango, o forse in una duna sabbiosa. Orecchie abbassate per la paura o per la speranza di un’attesa? Sta aspettando qualcuno che lo salvi o è prossimo a morire, in lotta per tenere la testa fuori? O forse potrebbe essere la metafora della Spagna, terra occupata, sospesa tra il vecchio e il nuovo, cane senza padrone, la Spagna durante l’occupazione di quel Napoleone visto come liberatore e come tiranno.
il “Caffè di notte” di Vincent Van Gogh (1888 – Art Galery, Università Yale); colori intensi, in forte contrasto tra di loro, prevale il giallo. E’ di notte che il pittore coglie un mondo completamente diverso da quello del giorno, eppure per lui è un luogo familiare, è solito frequentarlo. Persone che non comunicano tra di loro, chiuse nei propri pensieri, forse balordi, forse in preda all’alcool, alla stanchezza. Tutto concorre a suggerire la sensazione di solitudine, di malinconia e negatività, con il chiaro intento di far sentire lo spettatore a disagio.
il “Grande Cretto” di Alberto Burri (1984/1989, Gibellina). Le macerie degli edifici distrutti inglobate nei blocchi che compongono un gigantesco monumento a cielo aperto e ripercorrono vie e vicoli della vecchia città di Gibellina, a ricordo di quel terremoto che la distrusse nel 1968. Le fratture di cemento rievocano molti quadri prodotti da Burri, “I Cretti”, superfici geometriche, di colore bianco o nero, su cui si espande un fitto intreccio di crepe e screpolature producendo l’aspetto dei terreni argillosi, crepati dopo lunghi periodi di siccità.
Ma qui è diverso lo spirito con cui l’artista ha ideato il tutto. L’ evento catastrofico è stato isolato e ha assunto la sua concretezza, Lo strato di cemento steso sulle rovine è bianco, di un bianco abbacinante al sole di Sicilia, come un immenso lenzuolo, un sudario funebre a perenne memoria.