Artemisia Gentileschi. La via del naturalismo drammatico. 

Lezione della Prof.ssa Nadia Spogli

16 Ottobre 2024

"Artemisia Gentileschi: la via del Naturalismo drammatico" per i Soci dell'Università della Terza Età Città di Gubbio mercoledì 16 Ottobre 2024.

La lezione della Prof.ssa Nadia Spogli si inserisce in uno dei percorsi che caratterizzeranno le attività dell'Associazione nel presente anno accademico, "Pianeta Donna".

Nella sua relazione la Prof.ssa Spogli a ha evidenziato come questa artista d’eccezione è stata molto spesso dimenticata, trascurata persino dai suoi contemporanei che si interessarono di più alla sua vicenda biografica e ai suoi risvolti, che non alla sua opera. 


Fu in realtà una delle pittrici più celebri del periodo Barocco, conosciuta non solo per il suo talento artistico ma anche per la sua vita personale segnata da eventi drammatici, nota per le sue opere potenti e per essere una delle prime donne ad affermarsi nel mondo dell'arte del suo tempo.


Si deve a Roberto Longhi e al suo articolo pubblicato nel 1916 il primo tentativo di analizzare la produzione dell’artista e, soprattutto, di tentare una prima e accurata distinzione delle opere di Artemisia rispetto a quelle del padre Orazio, in un contesto artistico seicentesco dominato dal Caravaggismo. 


In contrasto con i modelli stilistici tendenzialmente conservatori delle pittrici che l’avevano preceduta, la Gentileschi plasma il suo stile, a volte aggressivo, riuscendo ad adattarsi ai principali orientamenti artistici dell’epoca: passa dal Caravaggismo romano allo stile fiorentino e di nuovo al Caravaggismo napoletano con virtuosismo senza uguali.


I suoi modelli di ispirazione furono Caravaggio, Van Dyck, Rubens, Annibale Carracci, il padre Orazio, senza mai rinunciare alla sua personalissima reinterpretazione sia che si tratti di temi biblici, sia di temi classici. Il successo fu immediato e di altissimo prestigio, seppe costruire con abilità la propria carriera, raggiungendo, anche in termini di mercato, un riconoscimento senza precedenti nell’ambito della pittura al femminile.


Fama e successo furono però effimeri, negli ultimi periodi di vita conobbe la povertà e fu costretta a vendere i suoi quadri a basso prezzo; inoltre il suo passato oscuro, la fama di donna licenziosa non la abbandonò mai, tanto che venne dimenticata come pittrice mentre sopravvisse la sua leggenda.


Negli anni ’70 del 1900 divenne simbolo del femminismo internazionale a partire dalla Germania dove associazioni e corporazioni le si intitolarono, riconoscendo in lei una figura di culto, paradigma della sofferenza, dell’affermazione e dell’indipendenza. Tutto ciò ci porta al maggio del 1612 quando il padre Orazio intentò un processo contro l’amico e collega Agostino Tassi che l’anno prima aveva stuprato Artemisia.


La Gentileschi nasce a Roma nel 1593, il padre Orazio, di origine toscana, si trasferì qui e aprì la sua bottega. Cresce nella bottega del padre, il quale capì subito il suo talento, a sedici anni dipingeva con abilità. In questi anni il padre lavorava a Roma con il Tassi,  detto “lo smargiasso”, il quale frequentando la bottega di Orazio si infatuò della ragazza e un giorno, rimasto solo con lei, la stuprò, servendosi della complicità di Tuzia, una ragazza che aiutava Artemisia in bottega. 


Nonostante Orazio fosse a conoscenza conoscenza della violenza, denunciò il fatto un anno dopo, tanto che Artemisia fu considerata un’amante, non una ragazza violentata. Lei si giustificò dicendo che il Tassi le aveva promesso di sposarla, ma non sapeva che era già sposato. Venne così giudicata dal Tribunale dell’Inquisizione, umiliata, sottoposta a visite ginecologiche, infine torturata, sottoposta allo schiacciamento dei pollici per indurla a rivelare la verità. Artemisia non ritrattò mai la sua deposizione, ma non fu creduta.


Nell’Archivio di Stato di Roma sono riportati tutti i documenti e gli interrogatori del processo che durò 8 mesi, da marzo a ottobre del 1612. Il Tassi fu condannato all’esilio, pena che non scontò mai. Artemisia un mese dopo lasciò Roma sposata con Pietro Antonio Stiattesi, un matrimonio combinato dal padre Orazio. Per la giovane donna lasciare Roma fu una scelta dolorosa, ma al contempo si allontanava da un passato tormentato e ingombrante tanto è vero che per un periodo rinnegò il suo cognome scegliendo quello dello zio, si sarebbe firmata: Artemisia Lomi.


A Firenze, dove si trasferì con il marito, venne accolta con tutti gli onori ed introdotta alla Corte di Cosimo II dove ebbe modo di conoscere persone culturalmente preparate. Dal punto di vista artistico fu un periodo felice, tanto che per intercessione di Cosimo fu la prima donna ad essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze, ma da quello personale non fu così. Si separò ben presto dal marito, dal quale aveva avuto due figlie, perché lo Stiattesi aveva contratto numerosi debiti che vennero annullati per intercessione di Artemisia presso Cosimo II. 


Lasciò così Firenze nel 1621, nel 1622 è a Genova e a Venezia per un brevissimo soggiorno, poi torna a Roma dove, contrariamente a quando era partita, fu acclamata e ammirata. Nel ’30 è a Napoli e nel ’37 parte per l’Inghilterra invitata da re Carlo I per aiutare il padre Orazio ad eseguire alcuni lavori nel palazzo reale di Greenwich. Dopo la morte del padre, avvenuta improvvisamente nel 1639, tornò in Italia; la ritroviamo a Napoli nel 1642.

Attraverso la corrispondenza con don Antonio Ruffo, suo amico e confidente, si può arguire che negli ultimi anni ebbe una salute cagionevole, poco lavoro tanto da essere costretta a chiedere aiuti economici. Questi furono gli anni più difficili della sua vita vissuta intensamente, il continuo bisogno di denaro, la mancanza di vena artistica resero i suoi quadri meno creativi fino alla morte avvenuta nel 1652.

Giuditta che decapita Oloferne (1612-13)

Napoli, Museo di Capodimonte

 L’eroina biblica Giuditta, insieme alla sua fantesca Abra, uccide il generale Oloferne che assediava la città di Betulia. L’eroina indossa un abito blu e oro e non porta gioielli, con la spada decapita Oloferne mentre Abra lo tiene fermo e lo spinge sul letto. Il quadro è dipinto con cura, le tre figure sono disposte a triangolo e compiono movimenti studiati. Accurata è la torsione del busto e del braccio di Giuditta che aggiunge dinamismo alla scena, facendo risaltare lo sforzo con cui compie l’azione. Il lenzuolo è macchiato di sangue che sgorga copioso dal collo, la Gentileschi fece proprio il Naturalismo caravaggesco e ne accentuò gli aspetti in maniera più cruda. L’opera parla chiaramente della sua avventura umana e professionale in un’epoca dominata dagli uomini; ognuno ha un ruolo, è la chiave lettura di una tragedia.

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Presentazione della Prof.ssa Nadia Spogli